Anche in caso di accertamento negativo del credito nei rapporti bancari l’onere della prova dei fatti negativi va ripartito in base al c.d. principio di vicinanza/inerenza della prova

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Anche in caso di accertamento negativo del credito nei rapporti bancari l’onere della prova dei fatti negativi va ripartito in base al c.d. principio di vicinanza/inerenza della prova

La Prima sez. civile della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 24051 del 26 settembre 2019, è tornata sul riparto dell’onere della prova nelle controversie bancarie e, rigettando il ricorso proposto dalla Banca, stabilisce che in caso di accertamento di fatti negativi (ad es. inesistenza di convenzione scritta di interessi ultra-legali, specifica previsione di commissioni di massimo scopertoetc.), l’onore della prova, generalmente in capo all’attore grava, invece, sulla Banca convenuta in virtù del c.d. principio di vicinanza/inerenza della prova. 

Il ricorso, proposto da un istituto bancario avverso un pronuncia di appello, lamentava, inter alia: l’errata dimostrazione dell’esistenza del contratto di conto corrente attraverso la produzione degli estratti conto; la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alla prova di un tasso di interesse in misura ultra-legale in riferimento alla L. n. 154/1992 e D.Lgs. 385/1993; sempre la violazione dell’art. 2697 c.c. con riguardo alla prova della pattuizione delle commissioni di massimo scoperto. 

Ebbene gli Ermellini, respingendo tutti e tre i motivi sopramenzionati, chiariscono in più punti la corretta distribuzione dell’onere della prova tra le parti.

Nello specifico, contrariamente a quanto dedotto dalla Banca ricorrente, l’esistenza (tra l’altro, non contestata) del contratto di conto corrente sorto nel gennaio del 1986 veniva, allora, desunta dall’applicazione di tassi ultra-legali non contestata dalla Banca (che assumeva di aver operato correttamente), dagli estratti conto prodotti in giudizio dalla correntista e dalla CTU, da cui si desumeva, appunto, “sia l’esistenza del rapporto, che l’andamento dello stesso nello svolgimento in dare e avere, anche in relazione alle evidenze contabili delle poste oggetto di contestazione (interessi ultra-legali, commissione di massimo scoperto, capitalizzazione trimestrale degli interessi)”; d’altra parte, riportandosi ad una precedente pronuncia, la Suprema Corte rilevava che “il correntista, che <<agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida ‘causa debendi’, sicché il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute>>” (Cass. n. 24948 del 23/10/2017). Dunque, proprio la mancanza della documentazione circa la pattuizione per iscritto degli interessi ultra-legali è stata assunta dalla Corte quale prova della illegittimità degli stessi, nonché della illegittimità della clausola di massimo scoperto per impossibilità di valutarne determinatezza e funzione.  

Sempre in punto di interessi ultra-legali se, da un lato, in assenza di pattuizione scritta ai sensi dell’art. 1284 c.c. deve ritenersi non provato l’accordo sugli interessi ultra-legali, dall’altro, deve ritenersi provata la sussistenza e l’applicazione di detti interessi ultra-legali proprio sulla scorta degli estratti conto e della CTU, oltre che dall’ammissione della Banca di avere praticato tassi uso piazza (e quindi ultra-legali). 

Il punto centrale dell’Ordinanza in esame è certamente quello in cui la Corte dichiara di aver fondato le proprie argomentazioni sul c.d. principio di vicinanza/inerenza della prova, in base al quale l’onere della prova va ripartito tenendo conto della possibilità in concreto per l’uno o per l’altro dei contendenti di provare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d’azione; ciò sta a significare, in altri termini, che nei rapporti bancari, a determinate condizioni, l’onere probatorio grava sulla banca, ossia sulla parte a cui è più vicino il fatto da provare. 

Il principio di dritto statuito nell’emarginata Ordinanza è, infatti, il seguente: “quanto alle singole clausole, se è vero che anche nelle azioni di accertamento negativo l’onere della prova incombe sull’attore, tuttavia quanto ai fatti negativi (nella specie, inesistenza di convenzione scritta di interessi ultra-legali e di previsione contrattuale sufficientemente specifica di commissioni di massimo scoperto) trova applicazione il principio di vicinanza o inerenza della prova, che ribalta l’onere sul convenuto (principio teorizzato frequentemente nella giurisprudenza di legittimità e applicato anche dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 13533 del 30/10/2001 sulla prova dell’inadempimento)”. 

Ciò posto, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla Banca, condannandola alla refusione delle spese di lite.

Scarica >> Cass. sez. I civ. Ordinanza n. 24051 del 26 settembre 2019