ANCORA SUL DIRITTO AD OTTENERE LE COPIE DALLA BANCA, EX ART. 119 T.U.B.

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ANCORA SUL DIRITTO AD OTTENERE LE COPIE DALLA BANCA, EX ART. 119 T.U.B.

Un altro arresto determinante per la tutela dei diritti del cliente, specificatamente in materia di diritto ad ottenere le copie dei documenti bancari ex art 119 T.U.B., è quello emesso dal Tribunale di Trani il 16 settembre 2019, al termine di un giudizio instaurato da un istituto di credito in opposizione ad ingiunzione di consegna dell’incartamento contabile e contrattuale.

Il Giudice pugliese con sentenza n. 2008/2019 pubblicata, come detto, il 16.09.2019, ha infatti ribadito, con frequenti richiami alla consolidata giurisprudenza in materia (di cui infra), che il diritto ad ottenere le copie dei documenti bancari sancito dall’art. 119 TUB ha natura assolutamente sostanziale e che, dunque, la sua tutela si configura come situazione giuridica “finale”, a carattere non strumentale. In particolare, l’esercizio del diritto di cui si discorre prescinde, sia dall’attualità e dalla durata del rapporto cui la documentazione fa riferimento, sia dall’uso che il cliente intende fare della stessa (Cass. sent. 11733 del 19.01.1999), rilevando, a tal fine, esclusivamente l’interesse della controparte ad essere informata. 

Per la precisione, il Tribunale di Trani afferma che “il diritto del cliente alla consegna dei documenti relativi a rapporti bancari ha la consistenza di vero e proprio diritto soggettivo, il quale trova fondamento […] nei doveri di buona fede nella esecuzione del rapporto e, per altro verso, nella disposizione dell’art. 119 comma 4 T.U.B”.

Nell’argomentare le proprie determinazioni il Tribunale, pregevolmente, richiama la datata, ma autorevolissima, giurisprudenza della Suprema Corte, la cui influenza è ben rilevabile anche nella più recente giurisprudenza in materia: si riconosce, infatti, che il diritto del cliente e del suo successore ad ottenere copia dei documenti prescinde dalla durata e dall’attualità del rapporto bancario. Si legge nella sentenza in esame che “sussistono infatti, anche dopo lo scioglimento del contratto e la cessazione del rapporto, una serie di obbligazioni, sempre di derivazione contrattuale, a cui fanno riscontro altrettante corrispondenti posizioni di diritto soggettivo dei contraenti, in quanto <<altro è, invero, il venir meno del programma operativo di realizzazione degli interessi che nell’atto negoziale era espresso […], altro è la cessazione di ogni diritto ed obbligo derivante dagli atti e dai comportamenti tenuti in esecuzione di quel programma>>(Cass.22 maggio 1997 n. 4598)” tant’è che la pretesa alla documentazione “è un diritto autonomoche, pur derivando dal contratto, è estraneo alle obbligazioni tipiche che ne costituiscono lo specifico contenuto (Cass. 27. Settembre 2001 n. 12093)”. 

La questione di fondo è che alla base vi è comunque l’obbligo di buona fede, inteso come vero e proprio impegno di solidarietà in ossequio del quale ogni parte è tenuta a comportarsi in modo tale da “preservare gli interessi dell’altra parte, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, ed è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio, quanto sul piano del complessivo assetto di interessi […]”configurandosi, dunque, un “dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte” (Cfr. Cass. 27.9.2001 n. 12093).

Non è ammissibile, allora, ritenere che un dovere siffatto (che, si è visto, poggia sui principi generali dell’ordinamento) possa venire meno per la mera cessazione del rapporto contrattuale, poiché, “alla stregua di quanto normalmente previsto con i contratti di collaborazione” (e qui il Giudice richiama giustamente l’obbligo di informazione e rendicontazione tipico del contratto di mandato, questione affrontata puntualmente anche in Trib. Roma, ord. del 19.11.2018, Est. Scerrato) il summenzionato obbligo “produce i suoi effetti fino a quando permane l’interesse giuridicamente riconosciuto e tutelato della controparte a essere informata”.

Ciò, ovviamente, non può che prescindere dalla durata del rapporto. In tal senso, sussistono molteplici precedenti giurisprudenziali che sul punto stabiliscono che (la durata del rapporto) “non può fare differenza ai fini dell’individuazione del contenuto e della misura dell’obbligo della banca di conservazione della documentazione contabile contrattuale” (cfr. Trib. Napoli sez. II 31.01.2019); con una argomentazione contraria, infatti, si priverebbe “il cliente del diritto all’informazione e, conseguentemente, significherebbe far venir meno l’obbligo di trasparenza della banca” (cfr. Trib. Teramo sent. n. 433 del 27.4.17, Trib. Lucca 23.04.2019, n.665 che richiama App. Milano n. 1796/2012)

In conclusione, il Tribunale di Trani, dopo aver puntualizzato che l’art. 119 T.UB. non impone alcun pagamento preventivo delle spese di copia (anche perché il costo di una prestazione siffatta non può che essere individuato a posteriori e “la norma non condiziona […] l’adempimento […]al pagamento delle spese necessarie(così rispettivamente Trib. Trani sent. n. 1336 del 18.06.2018 e Trib. Palermo sent. n. 4069 del 25.09.2018), rigetta l’opposizione della Banca confermando, contestualmente, l’ingiunzione alla consegna dei documenti e la condanna alle spese di giudizio.

Scarica >> Trib. Trani 16.9.19 n. 2008